- “I coreani” dissi “per entrare legalmente in Giappone hanno bisogno di un lasciapassare e per ottenerlo devono compilare una richiesta per avere un nome giapponese. Il tuo nome coreano è quel che resta di una dinastia perduta e il “il volto coperto di vergogna” riflesso nello specchio rimanda al cambio di nome. E quel che ti tormenta e che vorresti confessare è il rimorso di aver dovuto rinunciare alla tua identità per ottenere un permesso” -
Uno dei miei quartieri preferiti di Seoul è Seochon. Una zona con una grande importanza storica, è uno dei più antichi quartieri del distretto di Jongno, a nord di Seoul e come dice il nome stesso 서촌 è il villaggio ad ovest perché è effettivamente collocato lungo il lato ovest delle mura di Gyeongbokgun, il palazzo reale.
Voi a questo punto vi starete domandando perché io ne stia parlando visto che il tema della newsletter è “La guardia, il poeta e l’investigatore” di Lee Jung Myung, ma in realtà sapete anche quanto io ami dare contesto e quest’area di Seoul è strettamente legata alla storia della letteratura coreana, ospitando anche la più antica libreria della città. Mi piacerebbe raccontarvi la storia del quartiere, ma per adesso quello che serve sapere è che uno dei protagonisti, realmente esistito, di questo romanzo, ha vissuto qui.
Ora aggiungo un pezzetto, Seochon è alle pendici di un monte, Inwangsan, che insieme all’adiacente monte, Bugaksan, circonda tutta la zona nord di Seoul, anch’esso protagonista della storia letteraria e pittorica coreana.
Tra i sentieri di questo monte, infatti, si perdevano artisti e letterati per cercare ispirazione, compreso il personaggio di cui parlavo prima. È giunto però il momento di dare un nome a questo personaggio, anche perché il tema dell’identità in questo romanzo è centrale.
Sto ovviamente parlando del poeta Yun Dong Ju a cui Lee Jung Myung affida il compito di accompagnare il lettore in un viaggio di memoria, resistenza e amore per le parole che risuonano come inno alla vita.
Tra questi due monti c’è un’area chiamata Buamdong adagiata sui sentieri e nascosta tra gli alberi in cui, oltre a godere di una vista clamorosa, si può passeggiare sulla collina dei poeti a lui intitolata, perché era appunto l’area in cui saliva spesso a comporre le sue poesie. Si può visitare anche la casa letteraria Yun Dong Ju che è un’opera d’arte in se per come è stata concepita e un piccolo spazio con la storia documentata del poeta, le prime stampe delle sue opere e tanta emozione.
Vi lascio qualche foto che ho scattato io.
Ora, però, iniziamo ad addentrarci.
Come vi ho già detto nella newsletter precedente, in quasi tutti i romanzi di Lee Jung Myung c’è una grande ricerca storiografica. Parte sempre da una o più figure storiche reali per costruirci una storia attorno quasi sempre utilizzando l’espediente del genere giallo, quindi un mistero da risolvere attorno a personaggi storici oppure a eventi reali con personaggi inventati. Questo è generalmente lo scheletro delle opere di Lee.
I personaggi che sceglie hanno sempre qualcosa di irrisolto o poco chiaro e questo gli permette di giocare con la Storia con una maestria che è un po’ la sua firma. Maestria che sta anche nella scelta del linguaggio da assecondare alla storia e quindi se ne “La Regola del Quadro” usa un linguaggio estremante pittorico, tanto che la sensazione è proprio quella di interpretare un immenso dipinto pagina dopo pagina, qui ne “la guardia, il poeta e l’investigatore” il linguaggio è quello della poesia e della prosa letteraria, con una cura incredibile nella scelta lessicale.
Yun Dong Ju (1917-1945) è nato all'alba dell’occupazione giapponese della Corea e morirà sei mesi prima di vederla liberata. Già solo questa frase potrebbe racchiudere l’intento di tutto il romanzo di Lee Jung Myung.
E aggiungo che Dong Ju scriverà di libertà fino all’ultimo giorno della sua vita ed ecco perché è forse il più grande simbolo dell’indipendenza coreana.
È l’emblema, l’incarnazione della Corea schiacciata dall’occupazione giapponese. Dong Ju È la Corea durante il periodo coloniale. Ecco perché questo romanzo passa attraverso la sua poesia e il suo sacrificio e perché è la letteratura dentro la letteratura l’arma che Lee Jung Myung usa per raccontare un esatto momento in un esatto luogo, passando per tre temi principali.
Ricorderete che nel romanzo più volte viene citata la grande capacità di Yun Dong Ju di utilizzare e scegliere le parole giuste, il modo in cui attraverso le cartoline che i detenuti mandano ai famigliari e che fanno scrivere a lui, riesce a parlare dell’orrore della prigionia con la sua poetica, con la scelta di parole precise che possano eludere la censura.
Ecco, Lee Jung Myung fa esattamente la stessa cosa. Tratta tre temi dolorosi come la censura e la privazione dell’identità del popolo coreano, la morte del più grande simbolo dell’indipendenza coreana e gli esperimenti sui detenuti e lo fa come? attraverso l’elogio alla letteratura e alla poesia, con una scrittura raffinatissima ed emblematica della potenza di un linguaggio che è un grido di vita nel buio dell’oppressione di quel periodo.
Per esempio, i due aquiloni che al soffiare del vento si innalzano uno dall’interno della prigione e l’altro oltre il filo spinato delle sue mura, su cui Lee Jung Myung si sofferma molto e che diventano simbolici, sono una grande metafora in questo senso.
Yun Dong Ju è la voce perfetta per il lavoro che ha voluto fare l’autore con questo romanzo anche perché non è così scontato che a noi siano arrivate le sue poesie e soprattutto Lee sa benissimo che il suo sacrificio è stato un sacrificio consapevole.
Quando Dong Ju è stato arrestato a luglio del 1943, non avevano prove certe ad avvalorare l’accusa di partecipazione al movimento indipendentista, ma non ha mai ceduto di un passo, continuando a scrivere consapevole che avrebbe avvalorato quelle accuse e che quella che sarebbe stata la sua possibile fine.
Aveva scelto la sua arma per resiste ed era la poesia.
C’è una figura chiave però nella vita di Dong Ju che ha reso possibile l’incisione della sua memoria nel tempo ed è Jung Byung Wook, un ragazzo che all’epoca frequentava con lui la Yeonhee University che oggi conosciamo tutti come Yonsei University, una delle tre maggiori università del paese.
Dong Ju e Byung Wook vivevano in simbiosi condividendo il pensionato che gli ospitava, gli studi e gli ideali.
Come spesso vi ho detto gli storici dividono il periodo dell’occupazione giapponese in tre fasi e l’ultima fase, quella dal 1930 al 1945 è stata senza dubbio la più feroce.
Con lo scoppio della guerra nel pacifico la repressione si è fatta ancora più violenta, il Giappone sentiva la pressione, ma doveva mantenere il dominio in Asia Orientale. Quindi, oltre a raccogliere ogni genere di materiale e bene che potesse contribuire al rifornimento dell’esercito, servivano uomini. Questa è la fase in cui la già precaria situazione dell’identità coreana diventa totalizzante: la “coreanità” doveva smettere di esistere. La lingua coreana bandita, pena l’arresto, i coreani persero il proprio nome per adottarne di giapponesi. Nel romanzo la questione del nome è molto presente perché era sintomo della totale perdita dell’identità.
- “Il mio nome è Yun Dong Ju” disse Hiranuma con voce dura, sprezzante.
“Quello non è il tuo nome. Non sai che il coreano è proibito?” Disse Sugiyama guardandolo fisso.
“Senza Yun Dong Ju non sono nessuno e Dozu è una maschera che i giapponesi mi hanno costretto a indossare con la forza” -
Quindi la repressione partiva proprio dalla lingua.
In quel periodo, prima di essere arrestato, Yun Dong Ju mette insieme una raccolta delle sue poesie e ne fa tre copie. Una la mette tra le mani dell’amico Jung Byung Wook, una copia la tiene per sé e la terza doveva essere consegnata ad un suo professore.
Dong Ju sentiva che i tempi stavo cambiando, che la situazione stava precipitando e non si sbagliava. Viene arrestato con l’accusa di “violazione della legge sulla sicurezza”, processato e condannato a due anni da scontare nella prigione di Fukuoka.
Faceva parte di un gruppo di letterati, suoi compagni, che erano in realtà molto più attivi di lui a livello reazionario nella pratica, lui come dicevo prima ha scelto la scrittura come arma, ma questo non ha importanza perché i coreani, soprattutto gli indipendentisti coreani, venivano puniti non solo per le azioni di disordine pubblico, ma anche per le idee. Se poi queste idee scorrevano lungo l’inchiostro di una penna diventando permanenti, erano l’arma più potente esistente.
Da sempre le parole fanno paura, perché arrivano alla gente, perché formano un pensiero critico e il pensiero si traduce poi in azione. Leggere, ancora più che scrivere forse, diventa il più grande atto politico in questo senso.
Ma come dicevo prima all’Impero giapponese servivano uomini per affrontare la guerra, quindi l’età di reclutamento viene abbassata a 15 anni. Si parla di circa 200,000 coreani arruolati con la forza nell’esercito giapponese.
Quindi mentre Yun Dong Ju viene arrestato, l’amico Byung Wook è costretto a partire per il fronte. Le poesie che Dong Ju consegna all’amico, vengono passate alla madre di Byung Wook con la raccomandazione di nasconderle bene, per difendere le poesie, ma anche loro stessi in quanto poesie considerate reazionarie e per di più scritte in coreano. Era a tutti gli effetti un atto di tradimento verso l’impero giapponese.
La madre le nasconderà a casa sotto una delle tavole del pavimento ed è li che verranno recuperate dopo la liberazione. Grazie a questo noi oggi possiamo leggere le poesie di Yun Dong Ju.
Infatti, quando Jung Byung Wook torna dalla guerra, recupera il manoscritto nascosto e insieme alla famiglia di Dong Ju farà pubblicare le poesie nel 1948.
Dong Ju invece muore nella prigione di Fukuoka a febbraio del 1945, sei mesi prima della liberazione che non vedrà mai.
Sono proprio questi due anni di prigionia lo scenario nel quale su muove il romanzo di Lee. Il tema centrale è la censura e la perdita d’identità in un gioco di rimpalli tra il censore della prigione e un detenuto particolare, un poeta, Hiranuma Dozu (nome giapponese di Yun Dong Ju) che si insinuerà nelle sue rigide e feroci certezze.
Il secondo e il terzo tema che Lee tratta nel romanzo sono legati alla morte di Dong Ju che è un episodio ancora oggi non del tutto chiarito. La sua morte viene registrata ufficialmente come emorragia cerebrale, ma si ricostruirà dopo la fine della guerra cosa accadeva in quella che oggi è riconosciuta come “unità 731”. Un’unità dell’esercito imperiale giapponese, istituita inizialmente in Manciuria, con il presunto incarico di prevenire le epidemie. In realtà era una squadra capitanata da Shiro Ishii che portava avanti studi ed esperimenti per testare armi chimiche e gli effetti che alcune sostanze avevano sugli esseri umani. Le cavie predilette erano ovviamente i prigionieri (non solo coreani).
La prigione di Fukuoka era uno dei luoghi in cui venivano fatte le sperimentazioni, in particolare sulle risposte corporee a sostanze. Per gestire una mancanza di sacche di fisiologica e di sangue nelle infermerie si sperimentavano possibili alternative. Una totale follia in cui veniva iniettata acqua di mare nelle vene dei detenuti che morivano atrocemente.
Questa è solo una delle sperimentazioni, quella appunto che viene citata da Lee Jung Myung nel romanzo, ma altre prevedevano esposizione ad altissime dosi di raggi X o gas, congelamenti per valutare la resistenza o infezioni batteriche tramite insetti, solo per dirne alcune.
Anche dopo la guerra non è stato facile ricostruire nomi e fatti di un’unità che comprendeva qualcosa come 3600 membri che conducevano esperimenti su cavie umane. I luoghi e gli archivi dell’unità sono stati dati alle fiamme nel 1945 e le cavie uccise. Ci sono voluti decenni per mettere insieme anche solo una parte della questione.
Yun Dong Ju è una delle vittime di questi esperimenti. Morto nel 1945 insieme ad altri 259 detenuti, numero che si riferisce solo a quei mesi nel carcere di Fukuoka. Corpi poi scomparsi e registrati come deceduti per cause naturali o incidenti.
Vi sarà forse capitato di intercettare su Netflix un drama che si chiama “ la creatura di GyeongSeong”, un drama storico horror fantascientifico che prende spunto, chiaramente in modo totalmente romanzato e portato all’eccesso, dalle sperimentazione dell’unità 731.
Per concludere, ecco come Lee Jung Myung è riuscito in un romanzo indimenticabile a fare un percorso che, attraverso l’amore per la poesia e la letteratura, pieno di citazioni ed omaggi, di metafore, pieno della potenza delle parole e del controllo con cui si prova a marginarle, a raccontare una delle fasi più atroci, l’ultima fase, dell’occupazione giapponese passando attraverso l’incarnazione di questa potenza: Yun Dong Ju.
“Spero di guardare il cielo fino al giorno della mia morte
senza provare la minima vergogna,
anche per il vento che agita le foglie
ho provato tormento.
Con il cuore che celebra le stelle
so che debbo amare tutto ciò che va incontro alla morte
e devo seguire ogni strada
che mi è stata assegnata.
Anche questa notte le stelle sono sfiorante dal vento.”
- Yun Dong Ju -
Cosa vedere:
Dongju: The Portrait of a Poet. Film splendido diretto da Lee Joon Ik con Kang Ha Neul che interpreta magistralmente Yun Dong Ju.
Cosa leggere:
Cielo, Vento, Stelle e Poesia 하늘과 바람과 별과 시. La raccolta di poesia di Yun Dong Ju. In Italia edito da Edizioni Ensemble.
Grazie per aver letto fino a qui. Ci ritroviamo alla prossima newsletter e in tutti i miei spazi dell’internet.
Paola.
Commento al libro magistrale!